Da Montanelli a Churchill, i simboli sui quali non ci vogliamo confrontare
di Angelo Cirillo
Da qualche settimana tiene banco il dibattito sull’atto vandalico alla statua di Indro Montanelli a Milano. Un gruppo di studenti (Rete Studenti Milano e LuMe – Laboratorio universitario Metropolitano) ha imbrattato con vernice rossa la statua del celebre giornalista italiano, da loro accusato di essere stato razzista. La causa ciò sarebbe quella di aver sposato una dodicenne durante la sua permanenza in Eritrea, ai tempi del colonialismo italiano.
Il gesto degli studenti milanesi non è un caso isolato, si inserisce in un filone di contestazioni scoppiato a seguito dell’omicidio di George Floyd il 25 Maggio 2020 a Minneapolis, del resto siamo in una società post-globalizzata come ci sta facendo capire ogni giorno di più l’emergenza coronavirus. Dagli USA al Regno Unito, passando anche per la nostra Italia, movimenti pacifici hanno manifestato, e stanno manifestando, per la grave ingiustizia delle discriminazioni razziale. Effettivamente, se pensiamo anche solo alla storia recente del secolo scorso, non ci appare strano che questo fenomeno abbia origine proprio dagli Stati Uniti dove sono state tante le battaglie per i diritti civili che hanno poi cambiato il Mondo abbattendo muri e demarginalizzando gruppi sociali. Ma stavolta sulla scia della protesta abbiamo assistito anche a scene di violenza vere e proprie (pensiamo alle cariche contro la polizia in America) ed a “violenze ideologiche” perpetrate da alcuni nei confronti di simboli di un passato coloniale e discriminatorio da cancellare.
Anche il rimuovere monumenti “scomodi” nel Nuovo Mondo è già successo altre volte, come quando nel 2015 a seguito del “massacro di Charleston” alcuni memoriali degli Stati Confederati del Sud vennero rimossi perché inneggianti alla schiavitù (ricordiamo però che l’Abolizione della schiavitù fu un risultato della Guerra di secessione americana e non la causa dello scontro tra un Sud latifondista ed un Nord isolazionista). Ma in Europa invece questo tentativo di “Damnatio memoriae”, che non ha risparmiato nemmeno la statua di Winston Churchill a Londra, assume una connotazione molto più profonda poiché non a caso siamo il Vecchio Continente. La scena delle deturpazioni fa quasi pensare alla statua di Saddam buttata a terra dai rivoluzionari iracheni qualche decennio fa o anche ai fasci littori tirati giù dai palazzi governativi alla fine del secondo conflitto mondiale. In questi casi si trattava di simbologie di sistemi politici, per giunta totalitari, che venivano sostituiti da nuove realtà statuali stavolta il gesto di vandalizzare statue e chiedere la rimozione di personaggi del passato è mero atto di violenza che si confonde con quella che dovrebbe essere una “rilettura critica della Storia”.
Rimuovere Montanelli da Milano, Churchill da Londra o addirittura abbattere l’immagine di Cristofaro Colombo vuol dire abusare della Cultura occidentale. Della storia d’Occidente dobbiamo discutere ma certamente non possiamo valutare i suoi fenomeni sociali attraverso le sensibilità che abbiamo maturato nel nostro presente, altrimenti anche “il Maestro di color che sanno” potrebbe essere accusato di fomentare la schiavitù. Per qualche commentatore questo genere di manifestazioni critiche sarebbe addirittura la “Follia del politicamente corretto” che vuole contestare ma che non ammette di sbagliare, anzi chi ne parla male va messo a tacere. Sempre nel solco di una coscienza della Storia questo frangente di crisi ci sprona a discutere e confrontarci sul piano dei diritti civili ma allo stesso tempo ci fa sgranare gli occhi su gesti come questi che non ammettono il dialogo ed emettono direttamente le sentenze. Perché non vogliamo vedere?
Insomma oltre al razzismo storico per il quale la statua di Montanelli è sotto processo, in questo nostro mondo post-globalizzato, dobbiamo anche fare i conti con l’assenza del dialogo culturale, che forse è il peggior dei nuovi razzismi. Lo scrivo ironicamente – anche per stemperare – ci dovremmo guardare da quelli che preferiscono aspettare che “esce il film” anziché leggere il libro. Risultato: si ha la convinzione di aver capito.
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