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Corea del Nord e giochi olimpici: l’importanza dello sport nelle relazioni internazionali

La decisione della Corea del Nord di partecipare ai giochi olimpici in Corea del Sud potrebbe aprire scenari di distensione.

Ha suscitato grande scalpore la decisione della Corea del Nord di partecipare alle Olimpiadi invernali del prossimo febbraio a Pyeongchang, in Corea del Sud. La partecipazione degli atleti nordcoreani, che sarà principalmente dimostrativa, è il risultato di un accordo bilaterale tra Corea del Nord e del Sud raggiunto negli scorsi giorni, che prevede anche che gli atleti delle due Coree sfileranno assieme nella cerimonia inaugurale.

L’episodio è solo l’ultimo che sancisce il binomio tra lo sport e politica. Binomio che, nello scorso secolo, ha oscillato a lungo tra sfida e luogo di mediazione diplomatica.

Per lungo tempo, infatti, lo sport è stato l’arena di confronto e sfida tra sistemi e ideologie contrapposti, che portavano lo scontro dal campo politico a quello sportivo. Basti pensare alle Olimpiadi di Berlino del 1936, in piena epoca nazista, quando l’atleta di colore americano Jesse Owens vinse la medaglia d’oro sotto gli occhi corrucciati di Adolf Hitler.

In questo periodo storico, lo sport restava fortemente ancorato alla politica e alle ideologie, quasi come uno strumento al loro servizio. Ad esempio, nelle Olimpiadi di Londra del 1948, fu impedito di partecipare a Germania e Giappone, sconfitti nella seconda guerra mondiale. All’Italia invece fu concesso di partecipare perché, oltre in virtù all’armistizio del 1943, con l’avviarsi della Guerra Fredda la nostra penisola acquisiva una notevole importanza strategica.

A partire dall’Olimpiade di Helsinki del 1952, dove l’Unione Sovietica partecipò per la prima volta, fu data vita a una competizione sportiva con gli Stati Uniti che altro non era che lo specchio della competizione politica che avrebbe a lungo caratterizzato i successivi 40 anni di storia. Il Partito comunista sovietico dichiarò infatti che la vittoria sportiva rappresentava  “la prova della inconfutabile superiorità della cultura socialista su quella decadente degli stati capitalisti”.

Le successive Olimpiadi (Roma 1960 e Tokyo 1964) videro aumentare notevolmente il numero dei partecipanti: questo per mezzo del processo di decolonizzazione, che portò alla nascita di numerosi nuovi stati in Africa e in Asia, per i quali la facoltà di poter partecipare a un’Olimpiade rappresentava, oltre al definitivo riconoscimento, la possibilità di confrontarsi con le più ricche nazioni occidentali.

La vita delle Olimpiadi e dello sport in generale ha continuato a risentire delle situazioni politiche internazionali. Basti ricordare le Olimpiadi di Città del Messico del 1968, anno fondamentale per le proteste in tutto il mondo,  dove vi furono una serie di proteste studentesche poi sanguinosamente represse dalle forze dell’ordine nel famoso massacro di Tlateloico. Nel 1972, a Monaco di Baviera, la tensioni derivanti dal conflitto arabo-israeliano portò al rapimento ed uccisione di atleti ebrei da parte di terroristi palestinesi in diretta mondiale. Inoltre, la lotta all’apartheid sudafricano, indusse ben 29 di stati del continente nero a boicottare l’edizione di Montreal 1976.

Oltre a essere un terreno di scontro, parimenti importante è la funzione di foro diplomatico: uno strumento a basso costo per ottenere determinati obiettivi politici, come l’apertura tra due stati o il superamento di una situazione di tensione. L’evento più importante in questo senso fu la cosiddetta “diplomazia del ping pong”: la decisione della Cina comunista d’invitare nel 1971 la squadra nazionale statunitese di tennis tavolo per accelerare il processo di apertura agli Stati Uniti.

La speranza è che su questa scia si collochi l’azione della Corea del Nord e che non sia un’azione limitata al voler uscire dall’autoisolamento in cui si è essa stessa confinata a causa della questione nucleare. Tutto il mondo resta in attesa di capire se questo gesto possa far scemare la tensione internazionale e aprire la strada a un negoziato più ampio e più sereno.

 

Francesco Iannicelli

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